Caius Valerius Catullus, in nòster amì∫

Che cosa ci abbia spinti, dopo l’esperimento ludico di tradurre dal latino in dialetti nostrani alcuni testi di Orazio, a ritentare l’avventurosa prova con Catullo (…), non sapremmo proprio dire, ma autorizziamo il benevolo lettore a pensare al guizzo di un diabolicamente iterato badalucco. A dire il vero, qualcuno dei nostri venticinque lettori, dopo una presentazione pubblica ad Alessandria di Horatius, in noster amì∫ʃ, ci aveva indicato proprio in Catullo una prossima vittima d’elezione per le nostre innocenti manìe (…), sicché, con un’impudente imprudenza ancora maggiore della precedente, ci siamo messi di nuovo al cimento. (…) A Luciano Olivieri e a me si è aggiunto questa volta un altro qualificato esperto di dialetti, il prof. Carlo Gallia, che ha allargato l’esperimento al dialetto del suo paese, Solero; l’arricchimento che si è prodotto non riguarda soltanto la documentazione della peculiare fisionomia del vernacolo solerino, che ha tratti distintivi evidenti rispetto al monferrino fubinese e al mandrogno, ma anche la personale e originale sensibilità del traduttore. L’ampiezza dell’apparato di note (….) si giustifica con il proposito di consentire ai lettori una più approfondita conoscenza della poesia di Catullo anche in rapporto agli usi dialettali chiamati in causa dalle traduzioni. dalla Premessa di Gian Luigi Ferraris