Felice et divoto ad Terrasancta viagio facto per Roberto de Sancto Severino (1458-1459)

Curatore: Mario Cavaglià  e Alda Rossebastiano
Isbn: 88-7694-323-4
Collana: Oltramare
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Felice et divoto ad Terrasancta viagio facto per Roberto de Sancto Severino (1458-1459)
Maggiori Informazioni
ISBN88-7694-323-4
Numero in collana07
CollanaOltramare
CuratoreMario Cavaglià  e Alda Rossebastiano
Pagine356; 3 tavv. a colori f.t.
Anno1999
In ristampaNo
DescrizioneFelice et divoto ad Terrasancta viagio facto per Roberto de Sancto Severino (1458-1459)
Durante il Quattrocento il pellegrinaggio a Gerusalemme era pratica tanto diffusa nell’Europa Occidentale da giustificare l’organizzazione di un vero e proprio servizio di linea che collegava, due volte l’anno, Venezia con la Terrasanta. È un antico esempio di turismo religioso, solo in parte generato dalla fede e dallo spirito penitenziale. Molti dei viaggiatori,infatti, sotto il saio del pellegrino nascondono la curiosità del letterato sentimentalmente attratto dai miti della classicità, l’inquietudine dello scopritore proteso verso la prima porta dell’Oriente, l’avidità del mercante alla ricerca di nuovi profitti attraverso nuovi prodotti, l’occhio attento della spia, pronto a catalogare le difese, e i segreti, dei nemici. In quest’ultima categoria si colloca Roberto da Sanseverino, capitano di ventura al soldo di Francesco Sforza, poichè, come lui stesso manifesta in una lettera destinata al suo signore, il compito a lui affidato era proprio quello di informare il duca di Milano ‘de li progressi del Turco’. Il risvolto ufficiale del viaggio introduce nella relazione alcuni aspetti tecnici, connessi alle fortificazioni, alle difese portuali, alla morfologia del territorio, ma non cancella altre, più umane visioni del nuovo mondo. Sensibile alle bellezze del paesaggio, Roberto dalla sommità della tolda ammira le coste della Dalmazia, costellata di fiorenti città veneziane, le sassose isole greche, abbondanti di vino e di fichi, sulle quali aleggiano le divinità classiche, le montagne del Carmelo, primo avvistamento della Terrasanta. Sul dorso del cammello scopre il tormento del soffocante deserto d’agosto, le bibliche, rosse montagne del Sinai, le acque coralline del mar Rosso. A cavallo misura le piene del Nilo, ‘grande più che non è può’, e la meraviglia delle piramidi, per lui, come per i suoi contemporanei, ‘granari de pharaone’. A piedi attraversa le quindici porte di ferro del palazzo del sultano. Come ogni pellegrino del suo tempo sperimenta il fastidio dei ‘pedogi di faraone’, che lo divorano la notte nel ‘chane’, il disgusto dell’acqua verminosa dispensata sulla nave, la febbre delle infezioni, sempre in agguato nella sporcizia moltiplicata dal calore. Attraverso i suoi occhi conosciamo, illustrati con riferimenti nostrani che elevano l’Occidente a pietra di paragone continua, animali al tempo favolosi, come la giraffa e la tigre, frutti esotici allora poco noti, come le banane e i ‘fichi di faraone’, costumi e consuetudini locali, strani o almeno curiosi, valutati spesso con umorismo. Tra l’una e l’altra esperienza il racconto si sviluppa lineare e semplice, spontaneo e lieve, in una lingua che trasmette tutta la poesia del parlato quotidiano, privo dei fronzoli della retorica, dandoci un’impressione di verità che lo rende quanto mai attuale e gradevole.
Roberto da Sanseverino nacque nel 1418 dal matrimonio del principe Leonello con Elisa Sforza, sorella di Francesco, duca di Milano. Trasferitosi nel 1450 alla corte dello zio, divenne capitano delle sue milizie. Nel 1458 si recò in Terrasanta, apparentemente come pellegrino, di fatto inviato dal duca di Milano come osservatore politico-militare nei confini dei Turchi, di cui si temeva la progressiva espansione. Ambedue gli scopi, a nostro parere, celano altri motivi inconfessati, probabilmente molto più reali: l’avventura esotica e tradizionale, consacrata da Carlo Magno, l’interesse per la scoperta di nuovi orizzonti, molto sentito tra i suoi contemporanei, la moda aristocratica del pellegrinaggio, praticata al momento nelle famiglie principesche. Dalle sue osservazioni nasce la relazione qui presentata, risposta all’incarico ricevuto e narrazione di un’esperienza personale notevole, entusiasticamente vissuta. Ritornato a Milano nel 1459, Roberto continuò la sua attività militare a difesa del Ducato. Alla morte di Galeazzo Maria si schierò dapprima al fianco della vedova, Bona di Savoia, poi contro di lei. Il voltafaccia lo costrinse presto ad uscire dal Milanese, per rifugiarsi ad Asti prima, in Francia poi. Nel 1479 rientrò a Milano, al seguito di Ludovico il Moro, che si sostituì a Bona nella difesa dell’erede Gian Galeazzo. Ben presto, però, i rapporti col Moro divennero conflittuali, costringendo il Sanseverino a cambiare padrone. Nel 1481, infatti, Roberto passò al servizio dei Veneziani, sotto la cui bandiera morì nel 1487, combattendo a Calliano contro Sigismondo d’Asburgo.